Biennale di Venezia 2021: tutti i modi del vivere insieme
Dal 22 maggio al 21 novembre, i padiglioni dell’Arsenale di Venezia segnano una cesura tra il passato e un futuro di convivenza rispettosa, consapevole e, soprattutto, sana. Tra uomini, animali e ambiente
«Il progetto curatoriale privilegia la resilienza alla sostenibilità. La presa di coscienza dei limiti delle risorse è data per scontata», riporta il Decalogo dei Contenuti del Padiglione Italia 2021. Ciò che appare chiaro, alla luce degli eventi dell’ultimo anno, è la correlazione tra crisi ambientale e malattie. Questa la premessa da cui si sviluppa la narrativa del Padiglione. Attraverso foto, suoni e video, Alessandro Melis – il curatore – tratteggia l’immagine di un architetto formato sul legame tra ecologia e salute, così da dar forma a comunità che siano sempre più in grado di reagire alle condizioni esterne per proteggere persone, animali, piante e tutti gli elementi della Terra.
Insieme, dunque. Vivere, immaginare, riprogettare. Insieme. Una parola, questa, che nei mesi scorsi abbiamo usato poco. Una parola con cui abbiamo perso la confidenza pratica. “Insieme” è il leitmotiv della diciassettesima edizione della Mostra Internazionale di Architettura, che, a fronte delle difficoltà dovute alla pandemia da Covid-19, delle divisioni politiche acutizzate e delle disuguaglianze economiche crescenti, tenta di indagare come potremo trovare nuove soluzioni e strategie per vivere in comunità, connessi gli uni agli altri e in armonia con la natura che ci circonda. “How will we live together” in un mondo fatto di equità, inclusione e identità spaziale? La Mostra si propone di rispondere a questo interrogativo, attraverso la figura dell’architetto come cordiale catalizzatore in una collaborazione collettiva e custode del contratto spaziale.
La Biennale di Venezia 2021, curata da Hashim Sarkis, indaga gli spazi dentro e fuori dalla casa. Ricerca i simboli della quotidianità e delle modalità con cui, nel corso dei secoli, abbiamo codificato il nostro rapporto con il pianeta e con le creature che lo abitano. Dalla politicizzazione dei bagni (Your Restroom is a Battleground, Matilde Cassani, Ignacio G. Galán, Iván L.Munuera, Joel Sanders) alla rilettura del significante-gabbia come traduzione della relazione tra le specie (Variations on a Bird Cage, Giovanni Bellotti e Alessandra Covini). Racconta idee, visioni ed esperimenti che creano il plastico di un futuro sempre più vicino, ma, al contempo, poeticizzabile e stravolgibile nella sua concretezza. Un futuro che ribolle come la spirulina in liquido e gelificato nello studio di Claudia Pasquero e Marco Poletto, progettato per testare un modello di coesistenza permanente tra organismi umani e non umani nella urbanosfera post-pandemica.
Materiali, forme e geometrie legano tra loro le opere d’arte esposte nel lungo spazio delle Corderie dell’Arsenale e i padiglioni delle nazioni partecipanti, in cui la ricerca estetica si intreccia con la necessità cocente di tracciare un nuovo paradigma di sviluppo rispettoso e consapevole. A tratti leggera, immaginifica e onirica, a tratti ridondante e quasi soffocante – nella volontà di indurre il visitatore a percepire con i propri sensi il percorso che la nostra società sta seguendo –, la Biennale offre uno spettro di spunti da indagare, riporta in superficie eventi del passato che tornano a lasciare un segno e tratteggia nuove vie da intraprendere. Melis unisce al ricordo del Vajont e della tempesta Vaia la proiezione di una normalità in cui i robot potrebbero rivestire funzioni sempre più importanti, dalla sanità alla produzione. Una cyber-architettura pensata per rafforzare la socialità, per potenziare i servizi di cura per la persona e per l’ambiente, per tutelare gli individui nella loro singolarità e nella loro vita collettiva. La piattaforma dal titolo “Comunità resilienti” fa un uso asfissiante delle arti per accrescere l’impatto di un messaggio volto a educare e a far riflettere sulle potenzialità di un approccio tecnologico a problemi antichi che tornano e a temi nuovi che si sviluppano. «Il progetto curatoriale – prosegue il Decalogo – indica nell’architetto la figura di sintesi in grado di trasformare le conoscenze transdisciplinari in visioni», così che quello che venga a trovarsi sia un codice inedito, più benefico e armonico. Anche se derivato dall’incontro di ambiti apparentemente lontani come la tutela della risorsa legno e la robotizzazione.
Foto in apertura e nella galleria di Giorgia Bollati.